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Pubblica Amministrazione 2.0
By Daniela Scaramuccia |
aprile 07, 2022

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha affidato alla digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni un ruolo ancora più centrale per il nostro Paese, definendo obiettivi chiari e...

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha affidato alla digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni un ruolo ancora più centrale per il nostro Paese, definendo obiettivi chiari e tangibili da qui al 2026.

Nonostante si parli di e-government già dal 2003, durante la pandemia si è potuto riscontrare nei fatti la potenzialità delle tecnologie digitali nel garantire la resilienza del Sistema Paese nel suo complesso. Si pensi alle modalità di erogazione dei sostegni alle imprese e alle famiglie erogati attraverso procedure totalmente in remoto, alla prescrizione elettronica o al Digital Green Pass, sviluppato in tempi rapidissimi, con il coinvolgimento di tutte le amministrazioni locali e centrali.

Questa esperienza ha indubbiamente superato le ultime resistenze al cambiamento e, soprattutto, ha alzato le aspettative di utenti, professionisti e imprese rispetto alle modalità di interazione con la Pubblica Amministrazione, imponendo di fatto agli Enti Pubblici l’accelerazione del processo di trasformazione digitale.

Digitalizzare la Pubblica Amministrazione richiede prima di tutto la definizione di un nuovo modello di interazione tra utenti e i servizi pubblici, da articolare in un programma di trasformazione che passa necessariamente per una revisione dei processi oggi in uso e che consenta una risposta rapida alle esigenze, spesso in evoluzione, di cittadini e imprese.
In linea con gli obiettivi dell’EU Digital Compass 2030, le priorità per realizzare la digitalizzazione del settore pubblico includono un ammodernamento delle infrastrutture su tutto il territorio nazionale, lo sfruttamento di un cloud computing sicuro in grado di garantire la sovranità sul dato e il ricorso alle tecnologie più evolute per creare efficienza, valore e innovazione a partire dai dati e dai processi. Attraverso l’implementazione di questi elementi, l’obiettivo è garantire che entro il 2030 la vita democratica e i servizi pubblici online siano completamente accessibili a tutti, comprese le persone con disabilità. Si tratta di realizzare un ecosistema digitale che fornisca strumenti facili da usare, efficienti e personalizzati con elevati standard di sicurezza e privacy.

In questo percorso, gioca un ruolo essenziale la gestione della transizione al cloud. Nella realtà si parte da uno scenario IT molto complesso, stratificato e spesso datato. La PA ha fatto una scelta strategica “Cloud First”, ma nei fatti sarà necessario sviluppare un programma di trasformazione in cui dovranno coesistere il paradigma cloud con la complessa evoluzione dei silos applicativi esistenti. Sarà cruciale la capacità di gestire le virtualizzazioni e gli apparati di precedenti generazioni attraverso una transizione graduale, in grado di orchestrare la coesistenza delle tecnologie esistenti con i nuovi ambienti figli dei nuovi paradigmi IT, secondo un approccio armonico e un percorso sostenibile, sia in termini di total cost of ownership, sia in termini di impatto ambientale.

Da questa trasformazione ci si attende non soltanto la semplificazione e il miglioramento dell’interazione con la Pubblica Amministrazione, ma anche concreti benefici per l’economia e per la resilienza del sistema Paese nel suo complesso. Si pensi, ad esempio, ai vantaggi competitivi che il digitale potrà portare nella gestione delle procedure amministrative, grazie alla riduzione dei tempi di lavorazione e alla tracciabilità. Oppure alle potenzialità offerte dalla sensoristica e dai modelli analitici avanzati ai sistemi di gestione e manutenzione delle infrastrutture. O, ancora, alla possibilità di generare servizi di valore digitalizzando e valorizzando i beni culturali italiani nell’ecosistema del paese e a livello internazionale.

 
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La tecnologia per realizzare quanto accennato sopra è ormai disponibile, la sfida più grande che ci troviamo ad affrontare deriva dalla necessità di creare e valorizzare le nuove competenze nei settori tecnologici emergenti. Se si pensa a temi quali l’intelligenza artificiale o il cloud, la trasformazione digitale non può essere portata avanti senza una forte volontà di investire nelle persone e nella formazione, il tutto accompagnato sempre da una forte attenzione e rispetto dell’etica. Quando si parla di digitalizzazione, infatti, spesso si tende a dimenticare l’importanza fondamentale che riveste il capitale umano. Soprattutto in questa fase di profonda trasformazione, è fondamentale formare le persone alla cultura digitale, spiegandone le dinamiche e i benefici da una parte, e dando ai lavoratori gli strumenti adatti per sviluppare le competenze specifiche dall’altra. Non solo per non lasciare indietro nessuno, ma soprattutto per riuscire a declinare le specifiche necessità degli attori coinvolti, ottimizzando risorse e massimizzando i risultati a vantaggio di tutti. Serve quindi che la conoscenza di potenzialità e limiti delle nuove tecnologie esca dai Dipartimenti IT e coinvolga tutte le funzioni interessate, liberando il potenziale reale del digitale.

Naturalmente, come in tutte le grandi trasformazioni, servono anche competenze nuove e mirate. Come IBM, più di dieci anni fa abbiamo creato negli Stati Uniti un programma che si chiama P-Tech, con l’obiettivo di formare le nuove competenze digitali, investendo in percorsi di crescita destinati a tutti (e non soltanto a soggetti con formazione universitaria) allo scopo di creare percorsi di eccellenza e innovazione. In Italia, lo stesso progetto è stato promosso tre anni fa a Taranto, in collaborazione con il Politecnico di Bari, e da quest’anno anche a Rieti, in collaborazione con l’Università La Sapienza, e in partnership con altre aziende, tra cui Intesa San Paolo ed Enel. Ad oggi questo progetto sta accompagnando 530 giovani studenti italiani nell’acquisizione di quelle digital skill indispensabili per innescare e promuovere la transizione, dando loro anche la possibilità di ottenere la prima laurea in Ingegneria Informatica chiamata "P-Tech Digital Experts". Sicuramente è un primo passo, ma si tratta di un aspetto su cui occorre lavorare di più.

Va inoltre riconosciuto il ruolo che possono giocare le Start-up e le PMI innovative per il successo del processo di digitalizzazione del Paese, per la loro capacità sia di innovazione e che di interpretazione di bisogni di specifiche realtà.
In particolare, collaborando con loro, possiamo offrire alle amministrazioni italiane sia centrali che locali un nuovo modo “fuori dagli schemi” di concepire il processo di digitalizzazione; una modalità che solo la flessibilità delle Start-up innovative può garantire, ma, nello stesso tempo, è possibile garantire alla stessa amministrazione quella garanzia di stabilità e solidità che possono dare solo i processi strutturati e collaudati di un grande player IT.
Un altro grande vantaggio è indubbiamente la capacità di considerare ogni tematica in un’ottica “Glocal”, cioè sia globale che locale. Partecipando insieme a piccole realtà di eccellenza dislocate sul territorio, IBM può capitalizzare e replicare best practices internazionali contestualizzandole a realtà nazionali o addirittura strettamente locali arrivando così a fornire un vantaggio esperienziale enorme alle amministrazioni pubbliche.

Per questo nei fatti IBM ha sempre ricercato e concretizzato anche nella partecipazione congiunta con queste realtà alle grandi gare strategiche bandite da Consip in attuazione del Piano Triennale per l'informatica.

Rispetto al settore privato, la Pubblica Amministrazione ha una responsabilità in più: oltre a trasformare se stessa, come soggetto regolatore e committente, ha l’opportunità di guidare, nei fatti, la trasformazione digitale di tutto il Sistema Paese, assumendo il ruolo di motore dello sviluppo e dell’innovazione e disegnando un nuovo futuro.

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